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giovedì 19 marzo 2009

Sono le tre e quarantacinque: in questo istante, laggiù al ponte di Putney, i vogatori di Cambridge e di Oxford appoggiano i remi sulla schiuma dell’alta marea, danno il primo strappo “Via!”. Sbucano rombando da una nuvola una ventina di aeroplani inseguiti a distanza da due giganteschi elicotteri, che roteano le smisurate pale dell’elica come due molini a vento scaraventati in aria dalla lancia inesorabile di un Don Chisciotte. Gli aeroplani fuggono davanti ai mostri, picchiano a testa in giù, si rotolano, si abbandonano come foglie morte, drizzano il muso all’improvviso, filano verso Putney.
Un milione di visi guardano il cielo, dove i due elicotteri, rimasti padroni del campo, annaspano lenti come due calabroni accecati dal capogiro, come due enormi margherite dai petali roteanti. Passa velocissimo, tutto dipinto di bianco, lungo, stretto e piatto come un pescecane rovesciato sul dorso, il motoscafo della Radio, con una grande bandiera azzurra sventolante a poppa e un
’antenna sottile, altissima, piantata a prua. Tre lettere cubitali, B.B.C., spiccano in giallo nel mezzo della bandiera. Un lungo sussurro trascorre la folla: “Bibisì, bibisì, bibisì”. Una voce formidabile tuona dagli altoparlanti: “Allò! allò! allò!”. Sono le quattro e dieci. Un gran silenzio scende sul Tamigi, un silenzio funebre, come se quella moltitudine di barche assiepate lungo le rive facesse ala al passaggio del funerale di Ofelia.
Ed ecco, a un tratto, un urlo immenso, un urlo di folla atterrita da uno spettacolo orrendo, rintrona nell
’aria grigia. Eccoli! eccoli! Là in fondo, nella curva lontana del fiume, due punti, due brevi linee, due strisce luccicanti, due scafi sottili, appaiono, s’incidono sull’acqua, ingrandiscono rapidamente, si rivelano all’occhio. Le pinne dei remi si alzano e si abbassano con moto uniforme, con bagliori di acciaio. Un fragore di tuono passa sul fiume. Cambridge! Oxford! Cambridge! Oxford! L’urlo tremendo di un milione di gole rauche si appoggia in cadenza sui due tempi della voga, Cambridge, Oxford, Cambridge, Oxford, cade come due colpi di martello alternati sulla lastra di ghisa opaca del Tamigi, urta, spezza, sconvolge l’ordine del paesaggio verde di alberi e nero di carbone, fa tremar l’aria, la terra, le case, come una spaventosa scossa di terremoto. I due scafi scivolano veloci sullo specchio giallastro, i rematori si curvano, si tendono, strappano, colpiti in pieno petto dal grido ritmico dei capitani, seduti a poppa con i gomiti stretti ai fianchi, l’imbuto del megafono legato alla bocca come una museruola. Ancora duecento metri, centocinquanta , cento, Cambridge! Oxford! Cambridge! Oxford! Gli Azzurri di Cambridge sono in testa, aumentano il distacco, una lunghezza, due lunghezze, due lunghezze e un quarto: hanno vinto. Cam! Cam! Cam! Cam!
Un grido inumano, altissimo, lacerante, l
’ultimo grido della folla in delirio. Ho un momento di vertigine, un lampo rosso mi taglia il bianco degli occhi. Mi sembra che il fiume si divincoli come una serpe a cui un milione di uomini schiaccino il capo con un colpo di tallone. I vogatori si abbandonano sui remi, sfiniti, ansimanti, vuoti di sangue. Alcuni stanno per cadere in acqua. Vedo accorrere i motoscafi del pronto soccorso, odo gli squarci secchi dei fischietti della polizia, e soltanto allora mi accorgo che un silenzio opaco e pesante è sceso sul Tamigi come un nuvola.
La folla se ne va muta e tranquilla, a passi lenti, battendo le palpebre, come un pubblico domenicale all'
’uscita di un cinematografo.

Curzio Malaparte

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